“Social” e “Network”: due cose che i social network non sono più. Il Coworking, invece…

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"Social" e "Network": due cose che i social network non sono più. Il Coworking invece...Una delle cose più interessanti che sono state dette del Coworking, secondo me è questa:

Il Coworking è come un social network, ma reale, in persona.

Prima di raccontarvi chi l’ha detto e quando, un po’ di storia.

Siamo nati, come Rete Cowo®, prima che Facebook sbarcasse in Italia, aprendo di fatto l'”epoca social” così come l’abbiamo conosciuta, frequentata, studiata, capita, commentata, criticata, amata, odiata, snobbata, temuta, interpretata, e forse – oggi – anche un po’ superata.

Ma l’impatto sulle nostre vite c’è stato, e c’è tuttora.

Chi era online in quei giorni in cui Facebook raggiungeva – nell’arco di poche settimane – oltre un milione di iscritti italiani, e magari faceva i primi esperimenti di pagina pubblica con cui promuovere la propria attività, non dimenticherà facilmente quell’entusiasmo un po’ matto con cui tutto sembrava trasformarsi, e tutti sembravano connettersi facilmente a persone e idee.

(Era esattamente 16 anni fa).

Noi eravamo tra questi, anche perché il Coworking – nato in Italia con Cowo®, che aprì il primo spazio italiano nel 2008 – si fece conoscere esattamente in quel modo: con i social network, e prima ancora con i blog, prime espressioni di un Web che si apriva all’interazione (prima su Internet c’erano solo i cosiddetti “siti vetrina”).

Ma a cosa ci serve questo excursus storico sui social?

È la premessa per spiegare quella frase nel titolo.

• Accadde durante un Barcamp sul Coworking, nel 2017

Fu Ivana Pais, ordinaria di sociologia economica all’Università Cattolica di Milano, a pronunciare quella definizione del “Coworking come social network, ma reale, in persona”, in un periodo storico in cui questa strana attività chiamata “Coworking” era in cerca della propria identità.

Come sempre accade con i fenomeni più interessanti, quello che succedeva infatti aveva preceduto definizioni, teorie, interpretazioni.

Quello che succedeva era che – grazie a Rete Cowo – già negli anni 2008-2010 parecchi uffici in varie città d’Italia aprivano le porte a professionisti esterni, con l’idea di:

a) offrire loro l’utilizzo di parte dei propri spazi professionali a fronte del pagamento di un corrispettivo sostenibile

b) entrare in relazione con loro, al fine di sondare eventuali possibilità di collaborazione lavorativa

Una cosa nuova.

Una cosa che – appunto – si cercava di capire insieme nei Barcamp, e quella frase sui “social network reali” aveva fotografato perfettamente quell’aspetto di relazione, di incontro pregnante, che caratterizza (tuttora) le migliori realtà di Coworking, quelle che permettono – meglio: favoriscono – il contatto.

(A proposito, se per caso il concetto di “Barcamp” non è chiaro, vedi qui).

• “Social” e “Network”: due cose che i social network non sono più

Io, dal canto mio, non mi ero mai spinto a tanto (definirsi “social network” è tanta roba) però su quella stessa linea di pensiero definivo il Coworking in due modi: o una piattaforma, oppure una cassetta degli attrezzi (decisamente analogico, eh?)…

Comunque sia, uno strumento utile a costruire una nuova relazione con qualcuno che – prima del Coworking, senza il Coworking – non avresti conosciuto.

In effetti, l’analogia con i social prima maniera, quelli su cui ancora si vedevano i contenuti dei propri amici e c’era la possibilità di farne di nuovi, c’era tutta.

Come tutti sappiamo, l’evoluzione dei social non è stata nella direzione che ci si aspettava.

Le relazioni hanno perso rilevanza, le conversazioni si sono polverizzate e poi disintegrate, gli annunci sponsorizzati e gli algoritmi sorveglianti hanno preso il sopravvento… il tutto accompagnato da innumerevoli soggetti malevoli che la cui occupazione era ed è – come si dice – “l’avvelenamento dei pozzi dell’informazione”.

Non così il Coworking, che al contrario ha visto in questa dozzina d’anni abbondante una crescita molto forte ma anche molto ben dotata di anticorpi verso tutto ciò che di relazione costruttiva non offre molto, al di là che sia virtuale o reale, che si chiami social network o flexible office.

Vogliamo vederla come una rivincita del reale sul virtuale?

Come volete.

A me piace pensare che le idee sane, sviluppate dalle persone giuste e gestite con accortezza, crescono bene.

• Coworking batte social 1-0: la squadra vince sempre sul singolo

Diciamo una cosa, prima di tutto: alla base di tutto questo ragionamento c’è un luogo, un posto fisico, un indirizzo che non comincia con www. ma con Via, Piazza, ecc.

E lì si trovano persone in carne ed ossa.

Non è poco, in un’epoca in cui il lavoro soffre di isolamento, frammentazione, precarietà.

E in questo luogo si propone un servizio concreto, chiaro, con benefici tangibili e vincoli minimi, nell’ambito del quale le parole d’ordine sono flessibilità, sostenibilità, relazione.

Ancor meglio: in questo ambiente, frequentato da soggetti professionali interessati alla condivisione vera e significativa dell’esperienza di lavoro, in modo proattivo e partecipato (perché nessuno va al Coworking nel modo in cui si scrolla Instagram o Tik-Tok), la ciliegina sulla torta è che si tende a “fare squadra”.

Vuoi perché un parere fa sempre comodo…

Vuoi perché quando ti vedi tutti i giorni viene spontaneo coinvolgersi nel lavoro reciprocamente…

Vuoi perché la frequentazione crea di per sé reputazione di affidabilità (chi mai si comporterebbe male lavorando per qualcuno che si siede nel tuo stesso ufficio tutti i giorni?)…

…le collaborazioni nascono facilmente e crescono spontaneamente.

Con buona pace degli algoritmi di Meta o dei cinesi.

Alla prossima newsletter, e grazie di avermi letto.

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