wework coworking massimo carraro

WeWork e il Coworking che non lo era.

Non è più una notizia freschissima, quindi forse è il momento adatto per una riflessione distaccata. La vicenda di WeWork, una delle più discusse nel panorama globale del Coworking, ha attirato l’attenzione di molti, sia dentro che fuori dall’Italia.

Tuttavia, questa storia di WeWork e Coworking rappresenta qualcosa di molto diverso rispetto a ciò che noi intendiamo per Coworking.

Nelle righe che seguono, a firma di Massimo Carraro, si percepisce una sensibilità quasi letteraria verso una storia che ha più a che fare con la commedia umana che con il vero Coworking.

Riportiamo qui l’ultima edizione della Newsletter “CowoMax”, a cura del nostro fondatore, pubblicata due volte al mese su LinkedIn (qui l’iscrizione). Buona lettura!

WeWork è fallito!wework coworking massimo carraro

Una grande notizia nel nostro piccolo mondo del Coworking, ma in fondo non è una vera news, e non era un vero Coworking.

(Va anche detto che WeWork è stato dichiarato fallito solo in USA e Canada, e non nel resto del mondo.)

Ma perché ne parliamo?

Perché, nonostante tutto, WeWork è stato sinonimo di Coworking per molte persone.

wework coworking neumannAd esempio, per tutta quella gente che legge “Forbes”, dato che il fondatore di questo brand ha portato il Coworking su una copertina internazionale per la prima volta (anche noi di Cowo®, nel nostro piccolo, possiamo vantare un primato di questo tipo in Italia, da quando “D di Repubblica” ci mise in copertina nel 2009 – il servizio è ancora scaricabile in formato pdf).

Questo tipo di visibilità ha sicuramente aiutato a far conoscere il concetto di Coworking a un pubblico più ampio.

Qualcuno potrebbe chiedersi se ha senso parlare di Coworking come di un’azienda da 20 miliardi di dollari…D di Repubblica: Coworking in copertina

Forse no, ma intanto abbiamo cominciato a uscire dalle nebbie dell’anonimato; poi, per farci conoscere nel modo giusto, ognuno di noi ha messo del suo.

Perché il fallimento di WeWork non è una notizia

Semplice: chiunque conoscesse le vicende di WeWork da prima che raggiungessero il punto critico del fallimento, ha sempre saputo che l’azienda, nonostante i roboanti successi finanziari, le straordinarie pubbliche relazioni e l’incredibile carisma del suo fondatore Adam Neumann, non ha mai fatto un centesimo di utile.

(Lo so, lo so, che non significa niente, che Airbnb è andato in utile dopo 15 anni, che le startup, che i business angel, che la Silicon Valley… ma mi scuserete se ho delle difficoltà a considerare un’azienda degna di questo nome un’organizzazione che non è in grado di mantenersi).

Non che questo renda la vicenda WeWork priva di interesse, o di valore: nulla di tutto questo!

Ho imparato nei miei lunghi anni di lavoro che una delle cose più importanti in assoluto sono i Maestri.

E, tra questi, un posto di rilievo lo riservo senz’altro ai cattivi maestri.

Bene: Neumann è stato un Maestro in molte cose (se buono o cattivo in fondo qui interessa fino a un certo punto).

È stato un maestro soprattutto in una cosa: raccogliere denaro.

Più di una volta, in questi anni, qualche Coworking Manager di Rete Cowo® mi ha chiamato dicendomi:

  • Hai visto l’ultimo round di finanziamenti di WeWork?

dicendomi quindi tra le righe:

  • Perché Cowo® non raccoglie milioni allo stesso modo?

Chissà se le cronache di queste settimane stanno dando qualche risposta a quelle domande…

In fondo, forse forse, questa incredibile cornucopia di miliardi che è riuscito a farsi mettere in mano Neumann per anni ha reso impossibile quel momento di reality-check che tutti noi mortali ci ritroviamo a fronteggiare, prima o poi (più spesso prima che poi), mentre cerchiamo di portare avanti le nostre piccole attività di impresa.

Ma Neumann non è un comune mortale.

Una vicenda shakespeariana

341 + 446 = 787 pagine in cui succede di tutto, tranne il Coworking.

wework coworking books

Leggendo i libri pubblicati su WeWork – “The Cult of We” di Brown e Farrell e “The Billion Dollar Loser” di Wiedeman – si è rapiti da una vicenda che ricorda, nei toni epici, nella grandiosità, nella pazzesca successione di eventi incredibili, un dramma degno del famoso bardo.

E tutto a causa di questo signore, uscito da un kibbutz, partito da un ex-magazzino di Brooklyn per andare – svariati milioni di dollari dopo – all’attacco della Borsa, fronteggiando infine l’inglorioso (e peraltro comunque milionario) sfratto dalla sua stessa creatura, ad opera dei suoi manager ormai allo stremo, a capo di un’azienda in folle caduta.

Leggeteli, questi libri, se avete voglia di una vicenda dove ego, celebrities (è cognato di Gwyneth Paltrow), droga, jet privati, rave party e miliardi incrociano, ehm, il Coworking.

Mi dicono che è uscita anche una serie Tv sulla storia di WeWork: questa però non l’ho vista.

Celebrities, miliardi, Coworking: cosa non torna?

Ve lo dico io: non torna niente, e di certo non torna il Coworking.

Ma se lo dico io non serve a granché, chi invece ha fatto pesare un parere simile è stata la Borsa, quando – nel 2019 – ha detto a Neumann, che si presentava per quotare in Borsa WeWork, vantandosi di una quotazione sul mercato di 47 miliardi di dollari (sì, 47 miliardi di dollari):

Adam, ragazzo mio, il tuo brand non vale cifre di questo tipo, e se il mercato ti dice diversamente, perché crede alle tue storielle sulla condivisione, sappi che qui alla Borsa, dove siamo gente che bada al sodo, il tuo Coworking non è che una banalissima immobiliare. Ciao.

Da qui in poi (prima che arrivasse il Coronavirus, che come si vede non ha molto a che vedere con tutto questo), il crollo.

Un’immagine che, da sola, racconta che WeWork e Coworking non c’entrano molto…

Quei libri su WeWork li ho letti ormai tempo fa, e non posso dire di ricordare nel dettaglio le tantissime vicende, riccamente sfaccettate che vengono raccontate in centinaia di pagine, anche se il senso del tutto mi è ben chiaro.

Del resto anche le cronache recenti sono servite a rinfrescare la memoria.

Ma di quelle avvincenti letture, una immagine mi è rimasta vivida in testa.

Si tratta della scena che, puntualmente, ad ogni visita di investitore, Neumann metteva in campo per dare l’impressione da lui voluta, del Coworking come un luogo in grado di ispirare.

Ogni ufficio doveva pullulare di persone.

La musica doveva essere ovunque.

L’atmosfera, fighissima, sempre.

Alcuni gruppi dovevano lavorare insieme intensamente, altri svagarsi nelle aree gioco, altri ancora, nelle zone break, festeggiare successi brindando.

Ed era tutto finto.

Tutto messo in scena ad arte.

Tutto un racconto teatrale fatto di niente, oppure – se vogliamo stare con Shakespeare – fatto della materia di cui son fatti i sogni, nella fattispecie i sogni di Adam Neumann.

Ecco perché non c’entra con il Coworking, questa storia: perché è sempre stata velleità pura, diventata vera solo grazie al potere del denaro, e da questo infine distrutta.

Il Coworking – chi lo fa lo sa – è un’altra cosa, fatta di autenticità, sostenibilità, relazione vera.

Almeno così cerchiamo di portarlo avanti, nei nostri spazi dove forse non ci sono milioni di $, ma di certo ci sono molte persone vere, che lavorano sul serio, e fanno del Coworking uno strumento strategico fondamentale del loro approccio al lavoro.

La vera natura del Coworking

Il Coworking non è solo un luogo dove si condivide uno spazio di lavoro, è un ecosistema che promuove la collaborazione, la condivisione di idee e la crescita personale e professionale. Mentre WeWork ha trasformato questa idea in un business multimiliardario, è importante ricordare che l’essenza del Coworking rimane nelle relazioni autentiche che si creano all’interno di questi spazi.

La nostra esperienza come Rete Cowo® dimostra che un Coworking di successo non si basa solo su infrastrutture di lusso o su grandi investimenti, ma piuttosto sulla capacità di costruire una comunità coesa e solidale. Le persone che frequentano i nostri spazi lo fanno per trovare un ambiente stimolante e di supporto, dove poter crescere professionalmente e personalmente.

La lezione da imparare

La storia di WeWork offre molte lezioni preziose per chi è interessato al mondo del Coworking. Innanzitutto, mette in luce l’importanza della sostenibilità economica e della trasparenza. Creare un modello di business solido e duraturo è fondamentale per il successo a lungo termine. Inoltre, evidenzia come l’eccessiva enfasi sul marketing e sulle apparenze può distorcere la percezione del valore reale di un’azienda.

Per chi opera nel settore del Coworking, è essenziale mantenere la concentrazione sulla creazione di valore reale per i membri della comunità. Questo significa investire tempo ed energie nella costruzione di relazioni autentiche e nella promozione di una cultura di collaborazione e supporto reciproco.

Conclusioni sulla vicenda WeWork e Coworking

In conclusione, mentre la storia di WeWork può sembrare una tragedia shakespeariana moderna, offre anche un’importante opportunità di riflessione per chi opera nel mondo del Coworking. È un promemoria di quanto sia cruciale rimanere fedeli ai principi fondamentali di autenticità, sostenibilità e relazione vera.

Noi di Rete Cowo siamo orgogliosi di portare avanti questi valori nei nostri spazi, offrendo un ambiente dove le persone possono realmente crescere e prosperare.

E mentre il mondo continua a evolversi, restiamo fedeli alla nostra missione di promuovere un Coworking autentico e di qualità, dove le persone vengono prima di tutto.

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