Coworking da incubo: se li conosci li eviti
[Dalla newsletter personale del nostro fondatore]
Dopo tanti anni di lavoro nel Coworking (16!) potrei quasi pensare di far nascere un bel format sulle esperienze più orribili che si possono vivere all’interno di un Coworking, sulla falsariga di quello ben noto sulle cucine dei ristoranti.
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Per fortuna non ne sono quasi mai stato testimone diretto, perché le realtà di Coworking che vivo da vicino, quelle di Rete Cowo®, partono sempre con il piede giusto – grazie anche al supporto del Network – e si sviluppano al meglio.
Però, in oltre tre lustri di di presenza sul mercato, di letture, di conversazioni online e offline, di sguardo curioso nonché aneddoti, storie di ogni tipo… di cose “da incubo” ne ho incontrate.
Cosa può capitare di brutto, a chi va in un Coworking, al punto da definirlo “da incubo”?
Beh innanzitutto, di credere di entrare in un Coworking, ma in realtà varcare la soglia di un banale ufficio in affitto. Questo è il primo degli incubi possibili.
Il Coworking che fa finta di esserlo
Sappiamo per esperienza che chi va in Coworking cerca quasi sempre la possibilità di un incontro professionale.
O come minimo un ambiente collaborativo.
Al contrario, succede a volte che – nonostante quella parola “Coworking”, quel preciso concetto scritto sulla porta degli uffici e sul sito web – la cruda realtà sia diversa, più o meno così: ti viene dato un posto dove sederti, ti consegnano una password e… lì finisce tutto.
Zero networking, zero stimoli.
Zero Coworking.
Il Coworking-mal-di-schiena
Sai Massimo, sono stato lì e… indovina cosa mi hanno dato? Uno sgabello.
Ora, le formule “smart” “light” “fast” “hot” le usiamo un po’ tutti per indicare soluzioni di livello base.
Magari una scrivania un po’ più piccola delle altre, o in posizione meno fortunata, o ancora postazioni in condivisione, cose che servono a chi talvolta frequenta il Coworking per pochissimo tempo e si adatta volentieri a una soluzione non proprio super-attrezzata.
Ma la formula “sòla”, per dirla alla romana, quella non viene mai pubblicizzata con il suo vero nome…
Mi riferisco a quando ti presenti per svolgere il tuo lavoro per una intera, lunga giornata, e la seduta che ti viene offerta è assolutamente inadueguata.
Uno sgabello.
Una sedia che starebbe bene in una cucina degli anni 60.
Cuscini colorati sul pavimento.
(e così via)
Senza farne una una questione di rispetto delle leggi sugli ambienti di lavoro (dovremmo!), ragioniamo semplicemente sul perché qualcuno dovrebbe essere soddisfatto di lavorare senza poggiare il corpo su un oggetto ergonomico, creato e realizzato per lavorare.
Voi lo fareste?
Paghereste per lavorare molte ore senza che la schiena sia sostenuta come si deve?
Il Coworking 100% digital
Ti diamo il benvenuto in uno spazio totalmente digitale, dove ti offriamo la massima efficienza grazie alle tecnologie utilizzate.
Un benvenuto che prelude a un’esperienza non proprio ideale. Mi esprimerò con qualche esemio (vita vissuta, in questo specifico caso).
La prenotazione? Digitale, via sito (regìstrati)
L’ingresso? Digitale via app (scaricala)
La registrazione? Digitale, via app (scaricala)
Il check-in alla scrivania? Digitale, via QR code (inquadralo)
Il caffè? Digitale via app (scaricala)
Il pranzo? Dal distributore, via app (scaricala)
Il pagamento, le richieste di informazioni, il contratto, il check-out, il codice per andare in bagno, il riconoscimento facciale per poter parlare, l’aperitivo con il bot e due chiacchere con chatGPT per rilassarsi (ok ok mi sono fatto prendere, ma credo di aver reso l’idea).
Tecnologia sì grazie se funzioni al mio servizio, anche no se deve essere una ossessione che mi priva di qualsiasi piacere di frequentare un luogo e delle persone.
Il Coworking ostile
Tutti contro tutti.
Meno siamo meglio è.
Non ti avvicinare al mio computer.
Aria che si taglia con il coltello.
Non mi crederete ma ci sono.
Sono posti dove ha attecchito il virus malsano dell’ossessione per la concorrenza (facciamo lo stesso lavoro, che non creda di rubarmi i clienti), la psicosi degli sfigati anni 90 (potessi permettermi un ufficio mio, col cavolo che starei qua), il batterio malevolo del malumore a prescindere (sìssì tanto alla fine ce la mettono sempre in quel posto).
Non so come posti come questi possano sopravvivere su un mercato che ha sempre più offerta – per fortuna – di spazi ben gestiti dove si va volentieri e si lavora bene…
Credo che siano realtà cresciute in modo un po’ incancrenito nel tempo, magari nate su rapporti non proprio chiari e trasparenti… situazioni che, lo sappiamo tutti, certo non aiutano a lavorar meglio, anzi.
E lavorare meglio non può che essere lo scopo N. 1 di ogni spazio di Coworking, a beneficio di chi ci lavora.
Il Coworking con gli asterischi
Ne abbiamo visti di asterischi… riportano sempre a una scritta in piccolo, in fondo, come nei contratti delle assicurazioni o nelle comunicazioni unidirezionali delle banche… in versione Coworking le clausole con asterisco recitano:
*permanenza minima 6 mesi
*riservato a chi aderisce all’opzione X
*con esclusione di chi aderisce all’opzione Y
*solo se disponibile
*servizio a pagamento
…
…
Parliamoci chiaro: il Coworking è un’opzione sostenibile per definizione.
Ma l’approccio “parliamoci chiaro” non è lo stile di chi, fingendo un approccio friendly, open e smart, approfitta di qualsiasi cosa per:
a) chiederti più soldi
b) vincolarti più tempo possibile
c) sfruttare ogni tua esigenza per aumentare i margini di guadagno
Attenzione a chi non ha formule trasparenti e ben impostate, a chi mette troppi vincoli al servizio, a chi di fatto non mette le esigenze di chi lavora al primo posto nella lista delle priorità.
In genere, posti così si riconoscono dagli asterischi 😂
Il Coworking senza regole
Massì arriva quando vuoi, paga quando puoi, fai quel che credi, purché non mi bruci l’ufficio!
Tipicamente una situazione tra amici.
Che presto non lo saranno più.
Nulla è più sbagliato e più portatore di guai, in un ambiente di Coworking, di una situazione senza alcun tipo di gestione.
Dall’aspetto formale del contratto di utilizzo (da utilizzarsi a seconda del tipo di servizio), a un regolamento interno che deve essere ben chiaro a tutta la Coworking community, che si impegna per iscritto a rispettarlo, le regole al Coworking è bene che ci siano.
Poche e chiare, ma ci devono essere.
Non entro nemmeno in discorsi di sicurezza e di responsabilità perché qui stiamo parlando di incubi dal punto di vista di persone che gli spazi li utilizzano, ma non vorrei essere in quel gestore di Coworking che deve fronteggiare una situazione critica in assenza di qualsiasi tipo di accordo definito.
Non è un caso se la contrattualistica sempre aggiornata, il regolamento Coworking chiaro e sempre in evidenza sono tra i pilastri dell’operatività di tutti gli spazi di Coworking del nostro Network.
Perché l’idea migliore che si può avere del Coworking, nella mia umile opinione, è che vada nella direzione di un posto dove il lavoro venga meglio e ognunə, a sera, sia soddisfattə della giornata di lavoro.
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Un sogno? Per me e tanti altri, una realtà quotidiana. (Se invece voi lavorate in un Coworking da incubo, sappiate che ci sono alternative).
Alla prossima newsletter, e grazie di avermi letto.
Buon Coworking e buona fortuna 🍀
Max
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